Rappresentazione dei colori
tratto da COLORE... COLORE!!! di Andrea De Prisco – Mcmicrocomputer n.170 febbraio 1997

Quando si parla di fotografia digitale le "dolenti note" sono sempre rappresentate dagli aspetti cromatici delle immagini più che dalla loro risoluzione o, in generale, dal loro trattamento numerico.

In particolar modo, l'utente meno esperto o chi si avvicina per la prima volta a questo mondo, si scoraggia facilmente quando nota che, partendo da un originale su diapositiva o su carta, la visualizzazione a video offre risultati completamente inaspettati e l'eventuale stampa a colori; spesso, addirittura disastrosi. Il problema è tutt'altro che banale. Non si capisce perché, ma all'utente "normale" sembra non sia concesso ottenere con facilità risultati cromatici soddisfacenti, a meno di non ricorrere a bizzarre peripezie dalla ripetitività più o meno saltuaria.

La teorica colorimetrica non è materia banale, per secoli scienziati ne hanno curato ogni possibile aspetto. Come è nostra consolidata abitudine, sviscereremo solo gli aspetti più interessanti, trattandoli nella maniera più comprensibile.

L'occhio umano funziona propria come una telecamera! Cornea e cristallino rappresentano il gruppo ottico autofocus, l'iride è il diaframma automatico, la retina il sensore CCD, il nervo ottico il collegamento con la regia. L'unica differenza (si fa per dire!) è rappresentata dalla fovea che concentra un numero maggiore di recettori rispetto alle zone periferiche.
L'apparato visivo umano

Non si può iniziare a parlare di colore senza una rapida visita al nostro sofisticatissimo ''biosensore optocromatico stereoscopico autofocus" che proprio in questo momento si frappone tra le righe che state leggendo e il vostro cervello: l'apparato visivo umano.

Ma, prima ancora di tuffarci tra coni e bastoncelli, cristallini, cornea e nervo ottico è necessaria una premessa.

Tanto per cominciare, cominciamo col dire che i colori non esistono: siamo noi che li vediamo tali, né nessuno potrà mai garantirci che due individui differenti abbiano la stessa percezione cromatica.

Sappiamo che l'erba è verde, il cielo azzurro, la neve bianca, i pomodori rossi e siamo ben in grado (a meno di non essere daltonici) di riconoscere gli uni dagli altri. Ma come potremmo mai esser certi che le altre persone vedano il verde, così come gli altri colori, nel nostro stesso modo? Potrebbe anche darsi che quello che noi vediamo come giallo, agli occhi di un altro individuo appaia come il nostro rosso (e viceversa), ma considerando il fatto che da quando si nasce vediamo i colori in quel modo non potremmo mai trovarci nulla di strano. Se non vi convince il ragionamento, cercate di descrivere un colore senza fare riferimento ad altri oggetti noti o ad altre tinte. Naturalmente lo stesso ragionamento vale per i suoni, i sapori, gli odori.

Non per fare inutile filosofia, ma i "sensi" esistono solo in quanto percepiti da appositi "sensori" (occhi, naso, orecchie, papille gustative, ecc.). Se gli esseri viventi non avessero l'odorato... i fiori non sarebbero profumati e la gente si laverebbe di meno.

A un individuo con i collegamenti dei recettori del rosso e del verde scambiati fra loro , la “Rossa” si Scumacher potrebbe apparire come l’immagine a destra. Il problema è che non potrebbe mai rendersi conto di avere un difetto visivo
La luce

Comunque vediamo i colori, grazie al nostro cervello, possiamo star certi di una cosa: se siamo in grado di distinguerli lo dobbiamo alla luce. Al buio assoluto, infatti, non c'è alcuna differenza tra una pallina rossa e una verde, ma anche tra un lenzuolo appena lavato e un drappo nero.

Ma la luce, in definitiva, che cos'è? Semplice: è una radiazione di natura elettromagnetica al pari delle onde radio, degli infrarossi, degli ultravioletti, dei pericolosi raggi X e dei micidiali raggi gamma. Quel che cambia è la lunghezza d'onda e, conseguentemente, l'energia posseduta. A frequenze maggiori (lunghezza d'onda minore) aumenta l'energia e viceversa, se vogliamo questo è uno dei motivi per cui le onde radio sono assolutamente innocue (specialmente alle frequenze minori) mentre i raggi X attraversano agevolmente i materiali non pesanti (lasciando spesso il segno) e quelli gamma sono sprigionati dalle reazioni atomiche.

Lo spettro visibile della luce - come "vedete" c'è di mezzo la capacità percettiva dei nostri occhi - è compreso, estremi esclusi!, tra l'infrarosso e l'ultravioletto. In basso troviamo le tinte più calde, rosse, in alto (in frequenza) quelle più fredde blu-violetto.

La luce bianca comprende l'intero spettro visibile o, se vogliamo, è la somma di tutte le frequenze corrispondenti ai colori dell'iride. Sfruttando la rifrazione ottica è possibile suddividere un raggio di luce bianca nelle sue componenti spettrali (utilizzando un prisma cristallino) e lo stesso è possibile all'inverso, prelevando i vari colori generati in questo modo e ottenendo nuovamente un raggio di luce bianca all'uscita di un secondo prisma disposto simmetricamente al primo.

Da evidenziare, a questo punto, che un oggetto qualsiasi illuminato da luce bianca riflette le componenti cromatiche di quest'ultima simili al suo colore e assorbe più o meno totalmente quelle complementari. Tenuto conto, ad esempio, che il colore complementare del blu è il giallo, illuminando con una luce bianca una pallina gialla, la vedremo di questo colore "solo" perché l'oggetto provvederà ad assorbire più o meno tutto il blu che fa parte dell'illuminazione originaria.

Da segnalare che se provassimo ad illuminare con una luce blu una pallina gialla questa ci apparirebbe praticamente nera e lo stesso accadrebbe nel caso opposto (pallina blu con luce gialla).

E' importante non dimenticare questi concetti base, che tanto ci saranno utili per meglio comprendere gli aspetti base della colorimetria.

Nella sintesi additiva tre immagini formate da colori primari rosso, verde, blu, vengono sommate per ottenere l'immagine finale. Tenete presente che questa copia di MC, coì come qualsiasi altro materiale stampato, è comunque realizzata in sintesi sottrattiva (vedi illustrazione a lato).
Nella sintesi sottrattiva, per esigenze di natura tecnologica, ai tre colori primari ciano, magenta e giallo, viene aggiunto un quarto colore, il nero, per dare maggior "forza" alle tinte stampate.

Ci vuole occhio!

Siamo partiti dal nostro apparato visivo e siamo finiti per descrivere, molto approssimativamente, la luce. E' ovvio che senza luce l'occhio non avrebbe alcuna ragion d'essere ma è pressoché casuale il fatto che siamo sensibili solo alle radiazioni comprese tra la luce rossa e quella violetta.

L'occhio è, praticamente, una telecamera a colori molto compatta, autofocus e con diaframma automatico. L'obiettivo è formato dalla cornea e dal cristallino, la sua capacità di messa a fuoco è dovuta al potere diottrico variabile di quest'ultimo: gonfiandosi o stringendosi permette la messa a fuoco corretta di oggetti vicini e lontani. Gli anziani hanno difficoltà a vedere nitidi gli oggetti vicini proprio perché il loro cristallino ha perso elasticità e non raggiunge il potere diottrico sufficiente per la messa a fuoco a distanza ravvicinata.

L'immagine davanti a noi viene proiettata, grazie all'obiettivo-cristallino, capovolta sulla retina (posizionata sul fondo dell'occhio): questa è rivestita di coni e bastoncelli, elementi fotorecettori. Dall'occhio parte poi il nervo ottico che collega il tutto al cervello.

Sempre in maniera piuttosto empirica, fu mostrato come fosse possibile generare la maggior parte dei colori presenti in natura come somma dei tre colori primari e per far questo fu messa a punto una speciale macchina colorimetri basata su tre fasci luminosi monocromatici rosso, verde, blu che sovrapponevano le loro emissioni su un unico schermo.

E fu ipotizzato che la risposta dei nostri fotorecettori per alcune frequenze dello spettro avesse un andamento negativo. Insomma, un bel pasticcio... ma eravamo agli inizi della colorimetria moderna. Pensate che allo stato attuale, il diagramma di cromaticità della CIE (Commission Internationale de l'Eclairage) universalmente riconosciuto come standard è basato su tre "primari" immaginari (non visibili), freddamente battezzati X, Y e Z. Miscelandoli opportunamente, come i classici RGB, è finalmente possibile restituire TUTTI i colori visibili (e, incidentalmente, infiniti colori non visibili) e non solo un ristretto sottoinsieme.

Sintesi cromatica

Quando emissioni di luce colorata vengono sovrapposte per generare nuove tinte si parla di sintesi cromatica additiva. Il bianco, tanto per citare il solito esempio, vien fuori dalla sovrapposizione di una luce blu, una luce rossa e una luce verde. Ma non è, naturalmente, l'unico sistema per generare i colori. Un secondo metodo, usato in particolar modo in tipografia e più in generale nelle arti grafiche (pittura compresa!) è detto sintesi sottrattiva e riproduce le tinte sottraendo al bianco i colori primari prima elencati. Per generare il giallo come già anticipato - sottrarremo alla luce bianca il blu, sottraendo il rosso otterremo l'azzurro ciano, mentre facendo lo stesso col verde avremo rosso magenta. Questo, come i vari rosso-porpora, non è un colore spettrale. Lo possiamo ottenere dalla somma del rosso e del blu.

E come funziona un filtro sottrattore? Semplice: è realizzato con un materiale semitrasparente del colore complementare a quello da filtrare. Un filtro giallo spazza via il blu, un filtro magenta fa fuori il verde, un filtro azzurro ciano ce l'ha a morte col rosso.

Disponendo dunque di filtri colorati giallo, magenta, ciano, (o meglio di tre serie di filtri di tali colori nelle varie intensità), possiamo divertirci a "creare" qualsiasi colore sovrapponendo filtri di diversa tinta e intensità ad una fonte luminosa bianca.
Sul medesimo principio, sintesi sottrattiva (detta anche CMY, da Cyan, Magenta, Yellow), si basa la pittura, la stampa tipografica e, a ben vedere, anche quella fotografica. Sovrapponendo su un fondo bianco pigmenti colorati che assorbono (sottraggono) determinate bande cromatiche è possibile la stampa a colori. La modulazione dell'intensità si ottiene col noto meccanismo della retinatura, con la quale le tinte più tenui sono realizzate dall'accostamento rado di puntini di piccolissima dimensione mentre quelle più forti vedono ingrandire i punti di stampa fino a toccarsi nel caso della copertura piena (colori al 100%). Poi, per ragioni più di natura tecnologica che fisica, ai tre colori CMY ne viene aggiunto un quarto, il nero (e diventa CMYK), in quanto con gli inchiostri e le tecnologie attualmente disponibili proprio quest'ultimo non-colore ha notevoli problemi di resa. Visto che ciano, magenta e giallo, non sono in grado di generare un nero degno di questo nome questo deve essere stampato a parte. Nacque così la quadricromia.
Due "microfotografie" (l'ingrandimento è di circa 25x) di un bianco" RGB, fotografato sul TVcolor Sony di casa, e un primissimo piano di una "formosa" attrice italiana, da una minuscola stampa tipografica. Indovinate di chi si tratta.
Triadi e fosfori

I monitor a colori sono, invece, dispositivi che utilizzano la sintesi additiva (RGB, acronimo di Red, Green, Blu, rosso, verde, blu) per generare le varie tinte visualizzabili. Dal più sofisticato monitor ad alta risoluzione per arti grafiche al più scadente TVcolor domestico, se prendiamo una lente d'ingrandimento potremo notare che una schermata completamente bianca in realtà è formata dal susseguirsi di microscopiche triadi di puntini colorati RGB, detti fosfori.

Un'altra cosa che probabilmente avrete notato, almeno in passato, era la moda di alcune reti televisive di trasmettere durante le ore mattutine o la notte il cosiddetto monoscopio o più semplicemente le otto bande colorate verticali durante le prove tecniche di trasmissione. Otto colori, dal nero al bianco, con in mezzo il rosso, il verde, il blu, il ciano, il magenta e il giallo che corrispondevano esattamente alle otto possibili eccitazioni delle triadi alla massima intensità. Il nero, come facilmente intuibile, corrisponde ai "cannoni" spenti: nessun fosforo viene stimolato e il colore risultante è quello dello schermo spento.

All'estremo opposto trovavamo il bianco: come detto tale tinta è realizzata accendendo contemporaneamente tutte le triadi, alla massima intensità. In mezzo le rimanenti sei possibili combinazioni di uno o due fosfori eccitati. I colori primari, banalmente, venivano fuori stimolando soltanto i fosfori corrispondenti (rosso per il rosso, verde per il verde, blu per il blu). Le rimanenti tre bande, giallo, ciano, magenta, si ottengono stimolando a due a due i tre fosfori disponibili: rosso+verde dà il giallo, verde+blu dà il ciano, blu+rosso dà il magenta.

Gli otto colori fondamentali si ottengono, su un monitor RGB, proprio in questo modo, tutte le infinite tinte intermedie vengon fuori regolando opportunamente lo stimolo dei singoli fosfori. Banalmente un grigio 50% è ottenuto stimolando in tale percentuale tutti i fosfori, un acceso arancio è formato (ad esempio) dal 100% di rosso e dal 50% di verde e se a questa tinta aggiungiamo un 75°/o di blu, abbiamo probabilmente fatto fuori la pantera rosa.

Difficoltà di stampa

La causa principale per cui sicuramente vi arrabbiate ogni volta che provate a stampare a colori una vostra foto digitale risiede soprattutto nel fatto che lo spazio cromatico CMYK (quello della quadricromia) è diverso dallo spazio cromatico RGB. Moltissimi colori visualizzatili sul vostro monitor non sono proprio fisicamente stampabili.

Se può aver senso registrare e trattare le immagini in formato RGB (meglio sarebbe utilizzare un formato device-independent come il lab), sappiate che prima di mandarle in stampa è assolutamente necessario trasformarle in CMYK per verificare quali tinte state per perdere. Potremmo decidere, ad esempio, di effettuare ulteriori ritocchi cromatici prima dell'uscita su carta. Un dispositivo RGB, qual è il vostro monitor, è in grado di simulare con una buona approssimazione il risultato su carta a condizione che il software utilizzato sia capace di effettuare la trasformazione nella maniera più opportuna.